Un’indomita libertà
No teocrazia, no monarchia, sì democrazia e parità
🔊 Puntata 843
Sono l’Iran e ho una forte determinazione nella mente.
Sono l’Iran e sono come la tempesta.
Sono l’Iran, sono l’Iran combatterò fino al giorno della libertà
(…).
Il tuo urlo, il tuo urlo è l’urlo dell’Iran, il ruggito del leone.
Dillo al boia che oggi la sua fine è iniziata.
Psicoradio quest’anno dedica la puntata dell’8 marzo non solo alle donne, ma al diritto di ciascuno di essere libera/o di scegliere la vita che desidera. Iniziamo incontrando Virginia Pishbin, appassionata attivista per la libertà del popolo iraniano, che ci recita, anche in farsi, alcuni versi di lotta. La seconda parte della puntata termina con altri bellissimi versi e una storia molto triste: quella di Kenan Shukur, 26 anni, afghano in fuga dal suo paese, in cerca di pace e con il sogno di studiare all’Università, che prima di partire per l’Italia su un fragile barcone scrive e manda allo zio la poesia che vorrebbe per la sua tomba “se le cose vanno male”.
Virginia è nata nel 1982 a Sassari, la madre sarda, il padre iraniano è un oppositore della “rivoluzione khomeinista”, quella contro la monarchia che ha deposto lo Scià Reza Pahlavi e creato un regime teocratico. Dopo la “rivoluzione” il padre di Virginia lascia l’Iran per studiare in Inghilterra e poi in Italia; ma dal 1981, l’ultima volta che era tornato in Iran, non ha mai più potuto rivedere il suo paese, perché erano iniziati i rastrellamenti contro gli oppositori del regime. Non ha potuto neppure tornare per partecipare al funerale del padre. Proprio la famiglia di Virginia è invece la prova di un altro modo di vivere, basato sulla convivenza serena tra culture, credenze, desideri diversi. Nella sua casa, infatti, il padre musulmano, la madre agnostica, Virginia buddista, la nonna cattolica sono convissuti serenamente e con affetto. Quattro convinzioni, tre religioni, tutte praticate liberamente e in maniera molto attiva. Anzi, il padre musulmano era felice che lei fosse buddista, e la appoggiava quando organizzava in casa le riunioni con altri praticanti. Vivere nella libertà le ha insegnato che si paga spesso un prezzo per ciò in cui si crede: anche lei, in quanto attivista e figlia di un oppositore, non ha mai potuto vedere il paese in cui affondano parte delle sue radici.
Da oltre cento anni – racconta Virginia – l’ Iran è teatro di proteste e combattimenti per la democrazia e la libertà; lo raccontano anche numerose, bellissime poesie che dimostrano il carattere indomito delle donne e degli uomini di questo paese. Le ultime proteste, iniziate a settembre 2022, si sono scatenate per la morte della studentessa curda Mahsa (Jina) Amini, mentre era in custodia della polizia morale di Teheran. Nei mesi successivi si sono poi estese in tutto il paese contro il regime di Khomeini. Secondo Virginia, in questa rivoluzione le donne hanno un ruolo molto importante: “la loro leadership è sempre stata fortissima, riconosciuta in pieno nelle manifestazioni del popolo iraniano con le giovani in testa”. ‘No teocrazia, no monarchia, sì democrazia e parità’ è lo slogan delle manifestazioni”, urlato dalle giovani donne e ripetute dagli uomini, e particolarmente odiato dal regime. “Non ho mai visto donne più libere di quelle iraniane, un’indomita libertà” racconta Virginia.
In chiusura legge una canzone, “Giovane ragazza”, di Gissoo Shakeri, un canto di ribellione delle donne che ascoltiamo anche in farsi, la lingua dell’Iran che ha imparato dal padre.
Anche la seconda parte della trasmissione ha al centro una poesia, ed una storia molto triste, che ci fa vergognare del nostro paese.
“La terra della mia anima è così dura,
c’è un sasso pesante sul mio petto,
da questo barcone ho capito
che chi vede la realtà deve essere realista,
che sei il luogo in cui arrivi
e quella è la tua ultima destinazione”.
“Non dovessi farcela, scrivete questo sulla mia tomba“.
Kenan Shukur, 26 anni, afghano in fuga dal suo paese, lo aveva chiesto allo zio, che lo aspettava in Svizzera. Lo zio invece ha dovuto venire a cercarlo in Italia, a Cutro, vicino a Crotone, tra i tanti corpi che il mare butta sulla spiaggia, dopo l’orribile naufragio di un barcone a pochi metri dalla riva; quando i migranti si sentivano già in salvo. Il padre di Kenan era stato un guerriero, aveva combattuto contro i talebani come braccio destro del mitico comandante Massud, il “Leone afghano”. Per tutta la sua breve vita, invece, Kenan ha cercato solo un luogo sicuro dove studiare e crescere.
Era nato nel Panshir, e quando il regime dei talebani è caduto si era trasferito a Kabul, dove ha fatto il liceo, ma poi non trovava il percorso di studi che voleva, e neanche un lavoro. Allora ha preso il visto e raggiunto i cugini in Turchia, ha studiato per anni la lingua e finalmente si potuto iscrivere all’università. Ancora una volta però ha dovuto interrompere il suo sogno di studiare, perché con il ritorno dei talebani al potere il padre, ricercato dal regime, e tutta la famiglia sono stati costretto a fuggire in Iran. La loro zona d’origine, infatti, il Panshir, è l’unica provincia che ancora resiste ai talebani, e chi viene da lì è visto dal regime come un nemico. Kenan non ha voluto raggiungerli in Iran, voleva solo continuare a studiare, sognava la libertà in Europa. In un articolo di Repubblica lo zio ricorda una frase di Kenan: “La vita è corta come la chiamata del mullah per la preghiera“, diceva un anno fa in un video “Bisogna approfittare di ogni attimo.” “È partito da Smirne, durante il viaggio mi mandava dei video” -racconta lo zio – “L’ultimo è di sabato. Erano felici. ‘Siamo arrivati in Italia’, esultavano “. Domenica però Kenan non ha dato notizie. E quando sui media internazionali ha iniziato a circolare la notizia del naufragio, lo zio ha capito. Adesso, nessuno sa cosa sarà di questa povera salma: in Iran erano solo rifugiati sgraditi. “Fanno problemi ai vivi – commenta amaro lo zio – non accoglieranno mai il corpo un rifugiato senza documenti”. Morto a 26 anni, per cercare pace, a pochi metri dalla riva.