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“Sei il luogo in cui arrivi”

A Kenan, a Zaher e a Ousmane, morti cercando la libertà di andarsene; l’intervista a Gianfranco Schiavone, esperto di diritti dei migranti

🔊 Puntata 892 e puntata 893


“Sei il luogo in cui arrivi”


«La terra della mia anima è così dura

c’è un sasso pesante sul mio petto

da questo barcone 

ho capito che chi vede la realtà

deve essere realista,

che sei il luogo in cui arrivi

e quella è la tua ultima destinazione».

E’ una poesia di Kenan Shukar, morto nel naufragio di Cutro, in cui nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 hanno perso la vita almeno 180 migranti.  Aveva 26 anni, era figlio di un mujahidin del comandante Massoud, il mitico Leone del Panshir che aveva combattuto i sovietici e poi i talebani. Ma lui non voleva seguire questo destino di guerra, che aveva travolto l’Afghanistan. Voleva solo  pace, trovare un luogo dove poter studiare.

Ousmane Sylla aveva 22 anni e stava perdendo la ragione. Stava impazzendo, perché appena è diventato maggiorenne è stato rinchiuso – senza aver commesso reato – in diversi  CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri), con la prospettiva di restarci diciotto mesi.

“Ousmane il cantante”, come gli piaceva essere chiamato, era arrivato in Italia dalla Guinea, dove aveva lasciato tutta la sua famiglia, 6 anni fa, ancora minorenne.

All’alba del 4 febbraio, si impiccato alle sbarre della sua cella, nel Centro per il Rimpatrio di Ponte Galeria, a Roma. Poco prima aveva disegnato sul muro, con un mozzicone di sigaretta, il suo ritratto e le sue ultime, dolorose parole

Vorrei che il mio corpo fosse riportato in Africa, mia madre ne sarebbe contenta.

I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro.

L’Africa mi manca molto, e anche mia madre. Non deve piangere per me.

Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace.”  

Zaher Rezai, 17, anni anche lui afghano , è morto a 17 anni, nel 2008, schiacciato dal camion sotto cui si era nascosto  per passare il confine tra Patrasso e Venezia; aveva cominciato a lavorare a 13 anni , in Iran, come saldatore per raggranellare i soldi del viaggio.

In tasca è stato trovato un taccuino con versi di una bellezza dolorosa.

Se un giorno in esilio la morte prenderà il mio corpo/chi si occuperà della sepoltura?/Chi cucirà il mio sudario?/In un luogo alto sia deposta la bara/ché il vento porti alla mia Patria il mio profumo”.

E in un’altra poesia: “Questo corpo assetato e stanco/forse non arriverà al mare./Non so cos’ha per me il destino/ma promettimi, Dio,/non lascerai che finisca la primavera”.

A Kenan, a Zaher e a Ousmane Psicoradio ha dedicato due puntate, entrambe si concludono con una intervista a Gianfranco Schiavone, presidente di ICS- Consorzio Italiano di Solidarietà, realtà che tutela le persone richiedenti asilo e rifugiate. A lui abbiamo fatto domande sulle condizioni di vita nei Cpr, a partire dallo stato della salute mentale di chi vi è rinchiuso. La prima metà dell’intervista è nella puntata 892, la seconda metà nella puntata 893.

Puntata 892

Puntata 893

Foto di Sandor Csudai 

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