Il teatro che rende liberi dalle mura dei pregiudizi e da quelle del carcere
I teatri della mente e quelli in carcere: l’arte del palcoscenico può dar senso all’esistenza, e anche alla sofferenza
🔊 Puntata 884
Cosa possono avere in comune attività teatrali che coinvolgono persone con disturbi psichici e quelle che coinvolgono persone rinchiuse nelle carceri?
La più evidente è che entrambe, quando funzionano bene, possono trasformare esperienze difficili, dolorose, in arte, che a sua volta raggiunge le persone che assistono agli spettacoli, e poco a poco comincia a intaccare i pregiudizi, a far sì che le persone sul palco vengano viste per ciò che sono: persone, ciascuna con una sua storia, spesso intrisa di dolore, ma che l’arte può aiutare a cambiare.
“Il teatro per e nella salute mentale è un teatro del presente, si attiva sul qui ed ora, contribuisce alla formazione degli spettatori, adulti e bambini, genera un coinvolgimento nelle esperienze teatrali e una nuova cultura, fonte di crescita e di consapevolezza”.
È il primo punto del “Manifesto di un teatro per e nella salute mentale” presentato in occasione dell’evento che l’11 dicembre ha radunato all’Arena del Sole di Bologna le compagnie teatrali della salute mentale, facendo fare un passo avanti al progetto di una Rete Nazionale dei Teatri della salute mentale. Un’altra tappa di un lavoro che ha coinvolto gli assessorati alla cultura e alla salute della regione Emilia Romagna insieme all’ Istituzione Gian Franco Minguzzi e ad Arte e Salute APS.
I numeri sono importanti: sono i 41 dipartimenti coinvolti, ci dice Cinzia Migani, direttrice di VOLABO (centro servizi per il volontariato della città metropolitana di Bologna) che ha presentato la mappatura delle esperienze nazionali di teatro e salute mentale, partendo da una considerazione: il teatro è, per le persone che vivono la sofferenza psichica, fonte di benessere, di crescita personale, di realizzazione, di sviluppo di relazioni.
Nella puntata potrete ascoltare alcune voci che abbiamo raccolto nella giornata dell’11: Elisabetta Felicetti, attrice della Compagnia del Mare di Taranto, il racconto di un progetto che arriva da Magenta, in Lombardia, nell’intervista alla psicologa Alessia Repossi e un frammento della performance di Alessandro Bergonzoni, artista e autore da sempre vicino alle realtà impegnate nel sociale.
Se volete saperne di più potete visitare il sito Teatralmente.it
Continuiamo a parlare di come fare teatro possa dare nuovo senso alla vita delle persone. E trasferiamoci in carcere.
“Non chiedo mai il reato per cui sono chiuse in galera (…) Io lavoro in quel momento con la persona che ho davanti, e costruisco un rapporto creativo e formativo con quella persona, non con quello che quella persona ha dietro le sue spalle”. A parlare è Paolo Billi, regista e drammaturgo che da anni tiene laboratori di teatro carcere a Bologna. La compagnia parte sempre da testi teatrali o storie preesistenti, mai da biografie dei partecipanti e da temi legati strettamente al carcere, perché il desiderio è quello di sconfinare dalle contingenze.
Abbiamo intervistato il regista in occasione della terza edizione del Festival Trasparenze di Teatro carcere, terminato il 23 dicembre 2023. Il Festival ha portato gli spettacoli del “Coordinamento teatro carcere”, che raggruppa le esperienze professionali in Regione Emilia-Romagna di chi opera nelle carceri.
Paolo Billi lavora all’interno del carcere da 25 anni con i minori, da 12 con gli adulti. “È stata una scelta positiva” ci dice Billi, e continua spiegandoci che qui le persone trovano una necessità, un coinvolgimento, che sostanziano il fare teatro, e che non è mai intrattenimento. Lavorano in gruppo, si mettono in gioco, esattamente l’opposto di ciò che avviene in carcere.
Perché il carcere, conclude Billi, tende a rendere dipendenti le persone e a infantilizzarle. Così comprendiamo anche noi l’importanza della scena, contro le mura del pregiudizio e quelle fisiche delle carceri.