
Intervista a Don Ettore Cannavera, ex cappellano di un carcere minorile in Sardegna e fondatore de La Collina, una comunità che ospita ragazzi in alternativa al carcere.
Proprio durante il lockdown il problema della condizione delle carceri italiane è tornato ad occupare le prime pagine dei giornali. La paura dell’epidemia in luoghi sovraffollati e non sicuri ha provocato l’inizio di un periodo di tensioni, proteste dei familiari, e rivolte molto dure, con detenuti morti a Modena ed evasioni a Foggia. E allora si torna a parlare della riforma carceraria. Ma c’è anche chi ha iniziato a compiere trasformazioni radicali senza aspettare leggi e riforme.
È la storia di don Ettore Cannavera, ventitré anni trascorsi come cappellano all’interno del carcere minorile di Quartuccio, in provincia di Cagliari, da cui si è dimesso nel 2015 per sottolineare l’inadeguatezza del sistema penitenziario minorile italiano impostato solo sulla custodia dei ragazzi e non su una visione realmente pedagogica e rieducativa.
Don Ettore, contemporaneamente al suo impegno all’interno del carcere, fonda nel 1994 in provincia di Cagliari “La Collina”, un luogo dove i giovani rei possono scontare la pena alternativa.
“La recidiva del carcere è del 70/%, che scende al 4% tra gli ospiti della Comunità” – spiega il sacerdote – “La differenza è che mentre i luoghi di detenzione sono repressivi, “La Collina” ha come fine la riabilitazione e il reinserimento sociale. Qui i ragazzi possono esprimere se stessi nelle relazioni con gli operatori e il contatto con l’esterno”.