Il 2 giugno 2016 è la prima giornata mondiale dedicata ai disturbi alimentari. In questa puntata conversiamo la dott.ssa Mariangela Pierantozzi, psicanalista, psichiatra, tra le fondatrici di Officina Mentis, associazione psicanalitica di Bologna. Con lei abbiamo analizzato i principali disturbi (l’anoressia nervosa, la bulimia, la pica), i decorsi, e anche qualche ipotesi sul perché nascano i disturbi alimentari.
L’anoressia si manifesta soprattutto nell’età dello sviluppo, riguarda donne per il 95% e solo il 5% di uomini, ed è una malattia del benessere, diffusa nella società occidentale. La bulimia, che consiste nella continua assunzione di cibo, è di difficile diagnosi perché la persona non cambia di peso, dato che si induce il vomito.
Dal punto di vista psicologico ci sono molte teorie sulla loro origine, una delle quali sostiene che l’anoressia abbia alla base un legame conflittuale con la madre. Nel caso delle pazienti viste dalla dottoressa Pierantozzi, invece, l’anoressia spesso riguardava il rifiuto di diventare grande, la negazione delle pulsioni sessuali, che infatti in età adolescenziale si manifestano con grande forza.
Stimolata da un convegno dedicato alla “recovery”, la redazione, per approfondire l’argomento, ha intervistato la dottoressa Flavia Russillo, responsabile del Dipartimento di Salute Mentale di S. Lazzaro e membro del comitato scientifico del convegno. Ai microfoni di Psicoradio ha raccontato che la recovery è “un termine inglese che significa mettere al centro del percorso di cura l’utente e renderlo protagonista del proprio percorso di risoluzione qualunque sia il livello che può raggiungere, quindi non guarigione come risoluzione dei sintomi ma come investimento sulle proprie risorse.” La Dott.ssa Russillo ha spiegato inoltre l’importanza del ruolo degli ESP, che potremmo definire come “esperti per esperienza”, all’interno del progetto recovery, sottolineando come queste figure non siano tecnici ma utenti dei servizi di salute mentale, familiari degli stessi o cittadini, persone che dalla propria esperienza di dolore hanno tratto un punto di forza in grado di fornire una diversa prospettiva con cui aiutare altre persone ad affrontare il proprio percorso terapeutico. Gli ESP non sostituiscono il ruolo degli operatori ma li affiancano.