LE ESPERIENZE DI FABRIZIO

Golf Oscar “Lo farà”

Dopo un inverno di preparativi decollo da Bresso con il piccolo monomotore destinazione Dinard in Francia.

– Milano informazioni buongiorno India – Romeo – Echo – Golf – Oscar decollato da Bresso alle 09 con piano di volo per Dinard via Biella Aosta, Martigny è sulla tangenziale Ovest a mille cinquecento piedi passerà il confine sul Gran San Bernardo.

– Golf Oscar QNH 1013 inserisca 1357 sul transponder Charley riporti Biella mantenendo quote e rotte VFR

– Golf Oscar lo farà

Sono felice ed emozionato, è la prima volta che faccio un volo così lungo all’estero e per un pilota della domenica sessantenne come me è una bella impresa. Mi sento sicuro, gli strumenti sono in arco verde, la solita foschia lattiginosa copre la Valle Padana ma la visibilità è più che accettabile e sopratutto l’essere seguito da Milano Informazione m’infonde tranquillità.

– Milano Informazioni, Golf Oscar

– Golf Oscar avanti …. vi sentiamo tre quinti!

– Golf Oscar ha lasciato Biella in salita per dodicimila piedi passa sulla radio due per prova trasmissione, come mi sentite?

– Sempre tre quinti, se in prossimità del confine non ci ricevete passate direttamente a Zurigo informazioni sulla 126,35

– Golf Oscar lo farà

Accidenti, speriamo che le radio non facciano i capricci proprio adesso che dovrò parlare in inglese con gli svizzeri e transitare per spazi aerei trafficati. L’amato P19 arranca volenteroso guadagnando quota lentamente, sono quasi a diecimila piedi e inizia un po’ di turbolenza, Lucy alla mia destra è tranquilla anche se so che non ama sorvolare a bassa quota le cime innevate.

Mi godo il panorama e ripenso all’estate scorsa, ero in campagna con mio figlio Alessandro, 16 anni, dopo un difficile anno scolastico cercavo di convincerlo a “mettercela tutta” per finire la scuola ma ecco che ad un tratto lo vedo con lo sguardo assente come se stesse vivendo in un suo mondo distaccato dalla realtà. E’ come se la mia voce non arrivasse alle sue orecchie o le mie parole fossero percepite come un suono senza senso. Strano, forse è l’età, forse ero anch’io così quando mio padre cercava di convincermi a studiare.

Il massiccio del Gran San Bernardo comincia a delinearsi nella foschia:

– Milano Informazioni Golf Oscar

– Milano Informazioni Golf Oscar

Non ricevo riposta, Milano non mi riceve proprio adesso che devo passare le Alpi e devo tenere a bada l’aereo scosso dalle turbolenze ! Ma sì, forse Milano informazioni è fuori portata della radio. Provo a contattare Zurigo:

– Zurich informations, India – Romeo – Echo – Golf – Oscar

– Chi chiama Zurigo? Vi riceviamo debole e a tratti, ripetere la chiamata.

– India – Romeo – Echo – Golf – Oscar è un Papa uno nove con piano di volo da Milano Bresso a Dinard via Martigny, adesso sul Gran San Bernardo a dodicimala piedi transponder 1357 Charley

– Golf Oscar riporti Martigny in discesa e livelli a duemila piedi QNH 1015

– Golf Oscar lo farà

Mi pareva che Zurigo mi ricevesse meglio ma cominciavo a nutrire il dubbio che le mie vecchie radio mi piantassero in asso. Già comprendere quelle istruzioni sbiascicate in un inglese a dir poco maccheronico era difficile.

Alessandro sembra risvegliarsi dal suo sogno e mi risponde con distratta compostezza come tutti i ragazzi che ascoltano la paternale. Mah, forse sono io che sono diventato vecchio e non riesco più a entrare in sintonia con i suoi interessi fatti di ragazze, mare e discoteche. Comincia l’età più difficile e spero di essere in grado di assolvere il mio ruolo di padre.

Il volo era proseguito con qualche difficoltà di comunicazioni e un po’ d’ansia da parte mia, ce l’avrei fatta a portare a termine la “trasvolata” ? Dopo due ore di volo atterriamo a Dijon, la radio andava e veniva e a volte facevo fatica a comprendere le istruzioni. Caffé, benzina e un controllo alle radio, tocco più volte a caso i cavi d’alimentazione e le manopole, e dopo un sano colpetto tutto sembra funzionare a dovere. Non mi affanno più di tanto a scoprire la causa della ricezione difettosa, tanto … si sa d’elettronica ci capiscono in pochi e a volte le maniere forti risolvono tutto!

Con il passare dei mesi Alessandro si rinchiude sempre più in se stesso, si allontana dal mondo che lo circonda, è incapace di manifestare affetto e a volte ho l’impressione che la sua mente sia come paralizzata da un torpore. E’ una sensazione terribile, mi sento perso perchè ho paura di “perderlo”. Lui è lì di fronte a me ma sempre più “lontano”. E’ sofferente, non riusciamo a comunicare, io non riesco a comprenderlo. A volte è agitato perché si sente perseguitato da amici o inesistenti personaggi, divento insofferente a tutte queste manifestazioni che mi sembrano senza senso.

Decolliamo da Dijon, il cielo è limpido ma dopo mezz’ora di volo incontro un banco di nuvole, faccio quota per riguadagnare l’azzurro sicuro della mia rotta e confortato da Reims information. D’un tratto piombo nuovamente nella foschia, cambio quota ripetutamente cercando di bucare le nuvole senza successo, il controllo di Reims mi arriva nelle cuffie a tratti, a volte incomprensibile. Comincio a preoccuparmi, continuo a consultare le carte e il GPS cercando di prevedere ostacoli e stare alla larga dalle centrali nucleari che qui sono assolutamente off limits.

Alessandro non ha trascorso un bell’inverno e in primavera mi appariva sempre più sofferente e agitato, mi rivolgo agli psichiatri ottenendo per lo più risposte vaghe e sopratutto ben poco utili a gestire la situazione. Una settimana prima di Pasqua ricevo una telefonata sul cellulare: “Ale ha avuto un incidente lo stiamo portando al pronto soccorso, venga subito”. Prendo il vespino e attraverso Milano come un forsennato, come una Volante della Polizia non avrebbe saputo fare. Arrivo in tempo per vederlo mentre lo caricano sull’ambulanza, è in uno stato pietoso, delira e mi guarda in silenzio con i suoi occhioni celesti persi nel nulla.

“Lei è il padre ? Ci segua ci vediamo al Pronto Soccorso”.

Una parola ! E adesso ?

Respiro profondamente, calma, devo farcela. Guidare il vespino incollato alla coda dell’ambulanza che sfreccia in mezzo al traffico e ai semafori rossi non è facile. L’ unica cosa che vedo davanti a me a pochi centimetri di distanza sono i vetri smerigliati dell’ambulanza, è come pilotare nella nebbia fidandosi ciecamente delle istruzioni radio.

La visibilità è in peggioramento e mi restano poche ore di luce, comincio a preoccuparmi, mi accorgo di mantenere a fatica una rotta approssimativa.

– Reims Golf Oscar è in condizioni di visibilità marginali, chiedo il vettoriamento radar

– Inserisca 3434 sul transponder, prosegua mantenevo duemila piedi rotta due quattro zero.

– Golf Oscar lo farà

Mi torna alla mente quello che mi diceva l’istruttore al corso di pilotaggio: nell’emergenza, calma anche se ti senti disorientato concentrati sugli strumenti e affidati ai controllori di volo, gli esperti sono loro e hanno un controllo della situazione che tu probabilmente non avrai. A Itaca avevo imparato …. “tieni sempre la destinazione nella tua mente, raggiungerla sarà la tua meta”…. Facile da dire, in pratica volare alla cieca fidandomi degli strumenti e della radio e tutt’altro che naturale, speriamo bene! Lucy sfodera una calma serafica, sembra un pilota di Jumbo dopo venti anni di carriera! E’ di grande conforto, riesce ad infondermi un pò di calma.

Alessandro arriva al Pronto Soccorso, codice rosso, uno stuolo di medici e infermieri lo circondano e scompare in sala operatoria. Mi sento annientato, cerco con poco successo di controllarmi e riordinare le idee. Rimaniamo separati per quasi due ore dalle tende opache che delimitano la zona di pronto intervento, a stento intravedo le ombre dei medici che si muovono intorno al suo letto. Finalmente mi fanno avvicinare a lui. E’ calmo e apparentemente tranquillo eppure la sua immensa sofferenza affiora nel suo sguardo, a volte sembra quasi che abbia voglia di urlare per farsi capire e aiutare ma è come se le parole pensate rimanessero prigioniere della sua mente. A volte mi pare che voglia dirmi qualcosa ma è come se ci separasse una parete di cristallo, lo vedo parlare ma non lo capisco. Cerco di afferrarlo ma ogni volta sprofonda nelle sabbie mobili del delirio, della solitudine.

– Golf Oscar proceda per rotta 235, salite a duemila cinquecento, siete a 90 miglia da Dinard il meteo è in miglioramento chiamateci con il campo in vista

– Golf Oscar lo farà.

A stento riesco a decifrare le istruzioni, tutto mi sembra così confuso e difficile.

Penso nuovamente a quanto mi avevano raccomandato durante il corso di pilotaggio: se ti trovi all’estero e hai problemi a comprendere i controllori di volo ricordai che le istruzioni contengono una serie d’informazioni secondo una sequenza ben precisa, sforzatevi di intuire in anticipo quello che ti stanno per dire, mantieni la calma e sopratutto ascolta! Il problema si risolve come d’incanto durante l’ultima ora di volo Le radio dopo qualche amorevole colpetto funzionano decentemente e sopratutto prima di comunicare con il controllo mi sforzo di prevedere la sequenza delle istruzioni, sempre la stessa, cercando anticipare quello che mi avrebbero detto. Mi ero convinto che dovevo affidarmi ai controllori del traffico. Stupendo dopo tanto affanno ecco la regola per capire e portare a casa la pellaccia !

Dopo un’interminabile degenza Alessandro viene dimesso, torna a casa, ma comprenderci è sempre più difficile, è assente, parliamo due lingue diverse. Penso a Alessandro e non mi do pace, l’agitazione mi assale giorno e notte, e come se avessi l’incubo di volare sulle Alpi nella nebbia con la voce della radio che si va sempre più affievolendo. Passano gli anni, mio figlio percorre la via crucis della psichiatria. Aveva trovato un lavoro e una sistemazione in una comunità ma io non riuscivo ad accettare la mia incapacità di comunicare con lui, di capirlo. Quante volte ho cercato il bandolo per entrare in sintonia, per riuscire ad immaginare cosa succedeva nella sua mente.

E’ così che ricordando il volo a Dinard con l’amato I – REGO ho pensato che per comunicare con mio figlio dovevo innanzi tutto impormi di adeguarmi alla cadenza e i suoi tempi. Era lui la “torre di controllo” era lui che doveva stabiliva e proporre il ritmo della conversazione a secondo delle esigenze del momento. Non dovevo limitarmi a cercare semplicemente di capire il significato delle sue singole parole, dovevo piuttosto sforzarmi di immaginare quello che avrebbe detto.

Dopo molte prove la “ricezione” dei suoi ragionamenti ha cominciato a migliorare così come lo scambio d’emozioni e idee. Importante è ascoltare, ricordarsi che il “controllo” è lui e farsi guidare dai professionisti.

– Papà … “lo farà”.

 

Appunti mattacchioni

Alla fine degli anni ’80 avevo deciso di separarmi, mia moglie afflitta da anni da gravi disturbi psicotici non poteva dedicarsi ai due figli di dieci e quattordici anni e tanto meno al menage famigliare, la mia intensa attività professionale mi portava tra l’altro a frequenti viaggi all’estero. Avevo quindi preso questa non facile decisione per salvaguardare il mio equilibrio indispensabile ad accudire ai figli. Prima di parlarne con mia moglie ho chiesto udienza allo psichiatra che l’aveva in cura convinto di ricevere da lui suggerimenti e consigli su come comunicare la decisione di separarmi alla sua paziente al fine di causarle la minore sofferenza possibile. L’illustre luminare mi ha cacciato dal suo studio dichiarando che da cattolico praticante e contrario al divorzio non voleva diventare mio complice.

Il professionista, noto come uno dei padri della psichiatria italiana, fra i tanti riconoscimenti ricevuti durante la sua carriera è stato insignito della Medaglia d’Oro Albert Schweitzer per “L’umanizzazione della medicina”.

All’età di 17 anni mio figlio ha cominciato a manifestare i primi esordi della schizofrenia, brutta bestia di cui purtroppo la psichiatria per ora capisce ben poco. Nel periodo che trascorre tra la diagnosi e l’assestamento della terapia possono accadere episodi d’aggressività e violenza che si manifestano spesso durante le ore serali o notturne. Peccato che non esista un servizio di pronto soccorso psichiatrico a domicilio, inutile rivolgersi alla guardia medica o al pronto soccorso che non intervengono in questi casi. In pratica si dovrebbe convincere il malato a farsi accompagnare di buon grado al pronto soccorso psichiatrico dell’ Ospedale attrezzato più vicino. Avete mai visto un mattacchione convinto di essere tale andare sua sponte in Ospedale?

Morale i malati e i famigliari devono arrangiarsi con il fai da te.

Nel 2007 mio figlio è stato ricoverato d’urgenza nel reparto psichiatria dell’Ospedale Niguarda di Milano da dove è stato dimesso dopo circa due mesi. Dalla frequentazione del reparto ho imparato tante cose. Per riuscire a parlare con il Primario ed essere finalmente informato sullo stato di salute di mio figlio ho dovuto intraprendere una battaglia non da poco durata quasi una settimana. Alla fine, munito del viatico di indispensabili numerose e autorevoli raccomandazioni, mi è stata concessa udienza dall’illustre Primario Professore che con malcelata insofferenza mi ha informato sulla situazione.

Grazie.

Difficile riuscire a parlare con il medico di guardia che quasi sempre doveva recarsi altrove per una non meglio definita e ricorrente emergenza. Mi avevano insegnato che “l’emergenza” è una situazione occasionale imprevedibile ed eccezionale, ma quando diventa la prassi cos’è ?

Al Niguarda viene messa a disposizione dei ricoverati un ambiente pomposamente chiamato “Sala Televisione” con tre scomodissime e scalcinate panchine di ferro, il posacenere è un piatto di plastica usa e getta che non viene mai gettato e sempre colmo di cicche, non vi è neanche un tavolo o una mensola. Nel corridoio non vi sono sedie ma in compenso è consentito sedersi per terra, l’orologio a muro segna ostinatamente sempre la stessa ora. Le camere, a due letti, sono fornite di una sedia. Meglio non incentivare la sedentarietà.

L’accesso al reparto, ad “alta protezione”, tenuto chiuso a chiave, è consentito solo al personale medico e, negli orari previsti, ai rarissimi famigliari in visita. Il fatto che la maggior parte dei pazienti (quale migliore definizione !) non riceve visite e non ha contatti d’alcun genere con l’esterno non sembra costituire un problema. Forse è considerato parte della collaudata terapia: “quello che non strozza ingrassa”.

Non circolano giornali né esiste un sistema audio per la diffusione di musica o delle notizie dal mondo esterno, cose che evidentemente non sono considerate utili per i ricoverati. Meglio non distrarli troppo.

Le pareti delle camere e del reparto sono tenute rigorosamente spoglie forse perchè un poster con un’anonima vista delle montagne o del mare potrebbe stimolare inconsulti impulsi d’evasione.

Durante i mesi caldi i più fortunati possono sperare di ricevere dai parenti in visita un gelato che và rigorosamente consumato subito, non è consentito conservarlo nel frigo del reparto.

Ai pazienti per i quali è necessario ricorrere al letto di contenzione, dopo averli denudati, è riservato il conforto e la compagnia degli altri malati e dei famigliari in visita. Certo una buona e rilassante terapia per tutti nel pieno rispetto della privacy e della dignità del malato.

Ai mattacchioni che spesso si soffermano dietro al vetro della porta d’ingresso sognando la libertà viene concessa la consolazione di fare quattro passi in un piccolo cortiletto ingentilito al centro da un quadrato di erba incolta tipo savana circondato da un camminamento ricoperto di cicche. Mi ricordo quando da piccolo mi portavano allo zoo a vedere le scimmie che freneticamente e quasi in preda a moto perpetuo passavano dalla zona protetta dai vetri a quella “aperta”, la differenza è che nella zona “aperta” il pavimento era ricoperto dalle bucce d’arachidi. Le scimmie non fumano.

La manovra delle tapparelle non è consentita agli ospiti e queste sono generalmente lasciate alzate cosicché i pazienti si svegliano all’albeggiare proprio come i polli d’allevamento.

Gli orari sono come quelli degli altri reparti: sveglia prestissimo, prima colazione, visita intorno alle 10 del medico di turno o del Primario seguito dal codazzo di assistenti deferenti, colazione alle 12 cena alle 18,30. Durante il resto della giornata niente, non resta che confrontarsi con i propri incubi.

Perché non proporre per qualche giorno gli stessi orari al primario e agli assistenti ?

Durante le visite del mattino i medici chiedono ai pazienti di raccontare i sogni della notte, per fortuna a me non è mai stato chiesto, ho evitato una denuncia per sognati atti di aggressione.

I famigliari: chi sono ?

Un fastidioso impiccio ai quali rifilare il mattacchione quando è dimesso, in genere più “nervoso” di quando è entrato.

Ma i pazzerelloni chi sono ? Gli ammalati o i medici ?

Ardua risposta, credo che nel nostro Paese l’assistenza psichiatrica debba fare ancora molta strada.

A molti psichiatri proporrei di sognare, solo sognare, di avere un figlio ricoverato in un reparto psichiatria, le cose migliorerebbero subito.